(A cura dell’Istruttore II Duan Fabio Caputi)
Si può parlare a lungo di sensazioni e si può cercare di descriverle, ma le si può comprendere solo facendone esperienza diretta, e ogni esperienza è del tutto unica e personale. Praticavo già da parecchio il TaiJiQuan quando per la prima volta ho “saputo” cosa è il radicamento o, per lo meno, il radicamento statico. Stavo facendo la doccia e per un momento avevo assunto soprappensiero la postura del palo, quando d’un tratto percepii con consapevolezza qualcosa che già c’era ma cui fino ad allora non avevo prestato molta attenzione: ero profondamente radicato, i miei piedi non solo aderivano perfettamente al pavimento ma davvero avevano radici che scendevano invisibili e profonde per unirmi alla Terra, e non mi azzardo a descrivere più in dettaglio quella sensazione. Posso, però, dire che quel senso di radicamento che allora mi sembrò intenso e profondo oggi mi sembra leggero e superficiale: dovevo ancora fare la scoperta successiva, e il Cielo sa quante ne rimangono da fare.
La mia doccia è larga 80 centimetri, e lì qualche tempo dopo ripresi la postura del palo, ma questa volta un po’ più allargata, con i bordi esterni dei piedi lungo le pareti. Tenendo i piedi paralleli in quella posizione, i miei alluci non puntano dritto in avanti ma tendono a convergere, anche se di poco. Questo vuol dire che la postura che fino ad allora avevo adottato per eseguire Zhan Zhuang non era del tutto corretta: se le mie ginocchia puntavano gli alluci, allora tendevano anche se di pochissimo verso l’interno; per far sì che le ginocchia puntassero in avanti avrei dovuto cambiare leggermente la mia posizione. Questo piccolissimo cambiamento, che assomiglia più a una diversa intenzione che a un vero e proprio movimento delle ginocchia, ha amplificato il senso di radicamento, e questo me lo spiego con un’affermazione che ho letto tanto tempo fa in un’intervista al Maestro Chen Pei Shan che deve avere molti significati da ricercare: aumentare il numero dei segmenti. Provo a spiegare come la sto interpretando, consapevole che dev’esserci molto di più di quel che ne ho capito.
La mia prima sensazione di radicamento era basata più che altro sulla percezione della forza di gravità, una forza pressoché rettilinea che man mano ho cominciato a percepire (o, meglio, a trasformare) come spiraliforme arrotondando l’inforcatura; si trattava, però, di una spirale a spire molto ampie perché dalle anche fino ai piedi percepivo soltanto l’interezza dei miei arti inferiori e dovevo in qualche modo contrastare la forza che tendeva a farmi chiudere le ginocchia verso l’interno. Una volta cambiata, anche se di millimetri, la direzione delle ginocchia ne ho anche preso maggior consapevolezza e l’arto inferiore si è effettivamente diviso in due segmenti: la spirale discendente la immagino e percepisco come se passasse dietro il ginocchio, e questo fa sì che non tenda a puntare verso l’interno, cosa che prima mi sembrava inevitabile. Con l’intenzione delle anche verso l’interno e quella dei ginocchi verso l’esterno, e utilizzando attivamente sia le anche (per indirizzare la forza lungo i femori) che le ginocchia (per trasferire la spinta ancora più in basso), la spirale verticale giunge fino alle caviglie, da dove si spinge fino alle estremità delle dita, falange dopo falange: altri segmenti da percepire e controllare. E se, come mi sembra, ogni articolazione può essere usata per amplificare in uscita la forza che riceve in entrata, allora l’aderenza delle ultime falangi delle dita dei piedi dovrebbe aumentare man mano che migliorerà il mio rilassamento, dato che ogni tensione inutile ostacola il libero fluire della forza di gravità che è inesauribile: come lasciarsi attraversare da un fiume che ci percorre spiraleggiando; praticare questa posizione senza indossare scarpe aumenta di molto la sensibilità.
È come se, riducendo le tensioni muscolari, si attenuasse un rumore di fondo che ottunde le percezioni. Immaginando la forza di gravità come un flusso che entra dalla testa e fuoriesce dai punti di contatto dei piedi con il suolo, questi si distendono e le dita si allungano, coi polpastrelli che aderiscono gentilmente ma fermamente al suolo. È stata per me un’esperienza sorprendente la percezione dei miei 80 kg che, grazie al rilassamento dei muscoli, incollano i piedi per terra con 40 kg di spinta su ciascuno. Tutta quella forza-peso, invertendo la direzione della spinta durante un fa-li, potrebbe giungere amplificata fino alla mano, o al gomito o a qualunque parte del corpo atta a colpire, con un’energia dirompente. E, a questo proposito, mi è difficile togliermi dalla mente l’immagine di Bao Jingqian (alias Baoli), un allievo della Maestra Chen Pei Ju, che letteralmente rimbalzava dal suolo nell’esecuzione dei suoi possenti fa-li.
Dopo aver invano cercato di rendere rapido e fluido il movimento per ottenere l’inversione della spinta dal basso all’alto partendo dalle anche, mi sono reso conto che questo non richiede nessun movimento visibile! Le due spinte, verso il basso e verso l’alto, coesistono come coesistono lo Yin e lo Yang in tutte le cose, ed è compito dell’attenzione e dell’intenzione usare/amplificare l’una o l’altra. Per accentuare il radicamento, le anche indirizzano lungo i femori la forza che ricevono dall’alto, mentre per effettuare il fa-li indirizzano verso la colonna vertebrale la forza che ricevono dai piedi. Non vorrei far credere di essere diventato un bravo esecutore di fa-li: piuttosto, mi sento come uno che, salito su un colle, ha avuto la possibilità di vedere quanto è ancora lungo il cammino da percorrere, e come sia possibile perdersi in mille direzioni inconcludenti.
A proposito di rilassamento. Usare la mente come uno scanner per rilassare ogni singolo muscolo è un ottimo esercizio di consapevolezza: è lei, la consapevolezza, che viene spostata centimetro dopo centimetro su tutta la superficie del corpo dall’alto verso il basso e viceversa, davanti, dietro e di lato, sopra e dentro la testa, sotto e dentro i piedi. Col tempo, questa scansione del corpo è diventata più profonda e mi ha fatto diventare attivamente consapevole di cose, come le vertebre, che prima mi sembravano precluse alla coscienza. Questo mi è successo coltivando la sensazione di tenere appesa al Bai Hui la spina dorsale, come fosse una corda attaccata al ramo di un albero, con un piccolo peso legato in basso: è questo l’effetto che si ottiene ritraendo il mento e spingendo in fuori il Ming Men mentre il coccige punta verso la Terra e il Bai Hui verso il Cielo. Se si possono rilassare uno per uno i muscoli che stanno attorno alle vertebre, si finisce per poterli anche contrarre uno per uno, consapevolmente. In altre parole, è indubbiamente possibile, anche se difficile, arrivare a controllare ogni singola vertebra: questo comporterebbe un enorme aumento dei possibili segmenti-amplificatori-di-forza, specie se si considera che, all’inizio, il busto lo consideravo come un unico segmento, anche se reso elastico dalla sia pur ridotta mobilità vertebrale.
La posizione statica non solo può trasformare in un inesauribile fiume spiraleggiante la semplice forza di gravità: può anche permettere un’esperienza percettiva del Chan Si Jin al massimo della lentezza attraverso micro-movimenti che, partendo dai piedi giungono alle anche, per poi trasmettersi attraverso tutte le articolazioni fino alle punte delle dita alternativamente nei due versi, Shun Chan e Ni Chan. Questo semplice esercizio mi ha aiutato a migliorare un po’ l’efficacia delle tecniche di braccio del Tai Ji Quan perché mi ha fatto diventare consapevole del gomito e della sua importanza nella trasmissione-amplificazione della forza, non diversamente da quanto avevo imparato dal ginocchio a proposito del radicamento.
Nella mia descrizione manca un grande assente, il Dan Tian. Non ne ho percezione sufficiente per poterne parlare.